Lo ha affermato la Cassazione, con ordinanza n. 2675/18, depositata il 5 febbraio.
La vicenda. Il Tribunale di Alessandria rigettava la domanda dell’attore volta ad ottenere, nei confronti di un Azienda Ospedaliera, il risarcimento dei danni subiti per l’erronea esecuzione dell’intervento di raschiamento uterino cui era stata sottoposta la moglie a seguito del quale la gravidanza era proseguita e si era conclusa con la nascita di una bambina, contro la volontà dei genitori. Il Tribunale, con sentenza confermata anche dalla Corte d’Appello, sosteneva che non fosse dimostrato che gli interessati avessero espresso la sicura volontà di abortire.
Motivazione del tutto illogica e apparente. La Suprema Corte ha rilevato che la domanda attorea è stata respinta senza alcuna plausibile motivazione. Infatti, osserva la Cassazione, i Giudici di merito si sono limitati a dedurre l’insufficienza di prove ed ad affermare, illogicamente, che la nascita della figlia fosse una riprova del fatto che la madre non avesse intenzione di fare ricorso ad una interruzione volontaria di gravidanza.
Il diritto al risarcimento del padre. Dopo aver riscontrato la motivazione illogica ed apparente dei Giudici, la Suprema Corte, ha affermato un nuovo principio di diritto in tema di responsabilità medica per erronea diagnosi concernente il feto e conseguente nascita indesiderata.
Infatti la Cassazione ha disposto che il risarcimento dei danni derivanti dall’inadempimento delle struttura sanitaria all’obbligazione contrattuale spetta, non solo alla madre, ma anche al padre, «atteso il complesso di diritti e doveri che, secondo l’ordinamento, si incentrano sulla procreazione cosciente e responsabile, considerando che, agli effetti negativi delle condotta del medico ed alla responsabilità della struttura in cui egli opera, non può ritenersi estraneo il padre, il quale deve perciò, considerarsi tra i soggetti protetti»; da cui consegue il relativo diritto al risarcimento dei danni, «fra i quali deve ricomprendersi il pregiudizio di carattere patrimoniale derivante dai doveri di mantenimento dei genitori nei confronti dei figli».
In conclusione la Cassazione ha accolto il ricorso e cassato la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello che nel riesaminare la controversia dovrà attenersi ai suddetti principi.
Fonte
D&G
Aprile 2019