Nella mediazione demandata, il termine di 15 giorni per la presentazione dell’istanza di mediazione è da considerarsi perentorio, e quindi se viene presentata in ritardo, determina l’improcedibilità della domanda. (Tribunale di Lecce, sentenza 3 marzo 2017)
Sentenza del Tribunale di Lecce riguardo alla questione, assai dibattuta, relativa alla perentorietà o meno del termine di 15 giorni, previsto dall’art. 5, comma 2, d.lgs. n. 28/10 e successive modifiche.
La questione è stata sino ad oggi piuttosto dibattuta. In realtà, le prime sentenze hanno negato che il termine fosse perentorio: si vedano ad esempio, Tribunale di Firenze, sez. III Civile, sentenza 4 giugno 2015, oppure Tribunale di Roma, sez. XIII.
Ha cominciato poi a farsi strada un’opinione diversa, a partire sempre dal Tribunale di Firenze (9 giugno 2015) a cui hanno fatto seguito altre pronunce, come quella del Tribunale di Cagliari dell’8 febbraio 2017, estensore Tamponi, secondo il quale «Il termine di quindi giorni per la presentazione dell’istanza di mediazione ha – in ragione della sua funzione e delle conseguenze decadenziali – natura perentoria, così che dal suo mancato rispetto consegue la necessità per il giudice di emettere una pronunzia di rito contenente la declaratoria di improcedibilità del processo».
L’implicita natura perentoria del termine si evince infatti dalla stessa gravità della sanzione prevista, che è l’improcedibilità della domanda giudiziale.
Il Tribunale ha concluso nel senso che la mediazione tardivamente attivata rende improduttivo di qualsiasi effetto il relativo incombente, provocando gli stessi effetti del suo mancato esperimento e l’applicazione della sanzione della improcedibilità della domanda giudiziale.
La sentenza sopra richiamata non è l’unica in quanto altre ne sono seguite che hanno messo in discussione la perentorietà del termine.
La Corte di appello di Milano, con la sentenza del 7 giugno 2017, ha avuto modo di pronunciarsi sulle conseguenze del deposito “tardivo” (dopo i 15 giorni) della domanda di mediazione a seguito dell’invito contenuto nell’apposita ordinanza del giudice, sia quando rileva che la mediazione è obbligatoria e non è stata ancora avviata oppure quando rimette le parti in mediazione c.d. delegata (Corte di appello di Milano, sez. I Civile, sentenza n. 2515/17; depositata il 7 giugno).
La Corte di appello di Milano ha affrontato proprio la questione volta a sapere «se il mancato rispetto del termine di 15 giorni assegnato dal giudice per avviare il tentativo di mediazione, alla stregua della legge sulla mediazione processuale, possa ritenersi equivalente al mancato tentativo di mediazione nei casi in cui esso sia previsto come obbligatorio, situazione- quest’ultima- che certamente determina l’improcedibilità del giudizio ordinario».
La Corte di appello «considerando che il tentativo di mediazione è stato comunque esperito (con esito negativo), il giudice avrebbe dovuto rilevare che la condizione di procedibilità dell’azione giudiziale si era in ogni caso avverata, sebbene con ritardo rispetto al termine (ordinatorio) inizialmente assegnato. Ed infatti, il termine di quindici giorni non appare corrispondere a un termine processuale cui applicare il disposto di cui all’art. 154 c.p.c.».
Del resto, «lo stesso principio di effettività dei diritti, immanente al diritto di accesso alla giustizia cui si conforma la legge sulla mediazione, imporrebbe di non considerare come penalizzanti termini che la legge non definisce come perentori, e che chiaramente si devono definire come regolatori degli interessi in gioco».
Solo così si rispettano i principi del giusto processo. E ciò anche perché secondo la Corte di appello «un’interpretazione di diverso senso … aprirebbe un vulnus nella stessa legge di mediazione di derivazione comunitaria che, se nella versione nazionale scelta dal legislatore interno ha previsto come obbligatorio il tentativo di mediazione nella fase preliminare di alcuni contenziosi civili, come imprescindibile condizione di procedibilità, rimane pur sempre una disciplina orientata a incentivare soluzioni delle controversie pacifiche e alternative alla giurisdizione, senza eccessiva compromissione del diritto di agire, il quale non potrebbe essere impedito frapponendo ulteriori ostacoli temporali o decadenze processuali incompatibili con il principio del giusto processo e con il diritto di libero accesso alla giustizia, di matrice costituzionale e convenzionale (v. art. 24 Cost e art. 6 Convenzione del diritti dell’Uomo )».
Per il momento, sembra che non vi sia stata ancora una pronuncia delle SS.UU. della Cassazione che abbia sciolto il nodo anche se la giurisprudenza di merito si è adeguata alla sentenza della Corte di Appello di Milano – sopra richiamata – che sembra aver meglio motivato la scelta del termine dilatorio.
Ultimamente anche il Tribunale di Trapani, con ordinanza del 06.02.2018, ha ribadito la non perentorietà del termine di 15 gg. per la promozione del procedimento di mediazione.
Fonte D & G
Nota a cura
avv. E. Oropallo
Giugno 2019