La Corte Costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 c. 2 bis e 2 ter della legge Pinto come aggiunto dall’art. 55 comma, lett. a) n. 2) del d. l. n. 83/12 convertito con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della l. n. 134/2012, in riferimento agli artt. 3, comma 1, art. 111 comma 2 e 117 comma 1 Costituzione, in relazione all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
In effetti, la Consulta, come ipotizzato dal Giudice a quo che aveva sollevato eccezione di legittimità degli articoli richiamati, ha ritenuto fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2 bis, nella parte in cui determina in tre anni la ragionevole durata del procedimento regolato dalla l. n. 89/2001 nel primo e unico grado di merito. Sulla scorta della giurisprudenza consolidata della Corte EDU la Consulta ha ribadito il principio di diritto secondo il quale lo Stato è tenuto a concludere il procedimento volto alla equa riparazione del danno da ritardo maturato, nel termine massimo di due anni, in conformità agli artt. 111 comma 2 e 117 comma 1 Cost..
In breve il giudizio ex lege Pinto in primo grado non potrà avere una durata superiore a due anni mentre la Corte ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art 2, comma 2 bis, nella parte in cui determina in un anno la ragionevole durata del giudizio di legittimità previsto dalla l. n. 89/2001.
La sentenza della Corte Costituzionale (la n 36/2016 depositata il 19.2) segna un altro punto a favore del principio del giusto processo. Alla luce della esperienza di tutti i giorni, si dovrà fare i conti con i tempi delle Corti d’Appello che spesso appaiono inadeguate a gestire questo carico di lavoro, malgrado siano state istituite delle sezioni apposite per trattare i processi ex lege Pinto senza contare che il giudizio in Cassazione supera largamente i due anni.
Marzo 2016
(nota a cura avv. E. Oropallo)