Quando la Cassazione prende un (grosso) granchio – Misure cautelari personali e reali e diritto di prendere visione ed estrarre copia degli atti

In questa sentenza della Quinta Sezione Penale in tema di diritto di prendere visione ed estrarre copia degli atti trasmessi dal PM al Tribunale del Riesame ai fini della decisione su un sequestro probatorio non c’è nulla che possa essere condiviso anzi stupisce grandemente il richiamo a giurisprudenza non solo superata dalla giurisprudenza successiva ma anche da norme di legge che hanno interpolato il c.p.p. per risolvere ogni dubbio in proposito.

Nel caso in esame la Cassazione ha ritenuto non censurabile il provvedimento presidenziale che aveva negato all’imputato personalmente il diritto di accedere al fascicolo processuale ed estrarne copia. Su questo punto si potrebbe forse a fatica convenire esistendo comunque un margine di autodifesa non ricompresa nella difesa tecnica, tuttavia la Cassazione in quello che dovremmo considerare forse un obiter dicutum afferma che tale diritto non sarebbe spettato neppure al difensore ove lo stesso al posto dell’indagato si fosse presentato al fascicolo per estrarne copia e quindi a seguire la citazione di un profluvio di giurisprudenza in tema di misure cautelare personali applicabile anche a quelle reali e che indicherebbero appunto il solo diritto a prendere visione degli atti ma non quello di estrarne copia.

In questa sentenza che solo con un eufemismo possiamo definire infelice, pare del tutto obliterato che dopo la sentenza SU n. 4/1995 Sciancalepore, il legislatore per quanto attiene al procedimento di riesame ex art. 309 c.p.p. ha modificato il comma 8 per cui la formulazione attuale prevede appunto per il difensore “di esaminarli ed estrarne copia”. Idem è previsto per l’appello cautelare ex art. 310, comma 2 previsto appunto sempre in favore del difensore “il diritto di prendere visione ed estrarre copia” degli atti depositati in cancelleria.

Nella fase precedente al riesame in caso di applicazioni di misure cautelari personali, la Corte costituzionale con la sentenza n. 192/1997 (24 anni fa!) ha dichiarato incostituzionalmente illegittimo il comma 3 dell’art. 293 c.p.p. nella parte in cui non prevede “la facoltà per il difensore di prendere visione ed estrarre copia insieme all’ordinanza, della richiesta del PM e degli atti presentati con la stessa”, per violazione del diritto di difesa previsto dall’art. 24 della Costituzione.

Traendo le conclusioni da quanto sopra di ricava che:

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  1. In caso di misura cautelare personale gli atti devono restare depositati nella cancelleria del GIP fino a che non siano stati disposti gli interrogatori di garanzia, se per qualche motivo copia degli atti è stata restituita al PM tali atti devono essere messi immediatamente a disposizione della difesa in quanto né il GIP e tantomeno il PM possono sindacare la richiesta non essendo applicabile l’art. 116 c.p.p. in quanto nella materia de qua il diritto a prendere visione ed estrarre copia dell’incarto processuale è previsto direttamente dalla legge processuale ex art. 43 disp. att. c.p.p.
  2. Nel corso della procedura di riesame o appello di misure cautelari personali ex art. 309 e 310 c.p.p. il diritto del difensore è previsto dalla legge processuale e non occorre alcuna autorizzazione ex art. 116 c.p.p.  (pretenderla sarebbe un abuso censurabile quantomeno ai sensi dell’art. 124 c.p.p.) e normativamente previsto dal predetto art. 43 disp. att. c.p.p.
  3. Nella procedura di riesame di misure cautelari reali ex art. 324 c.p.p. gli atti trasmessi dal PM restano depositati in cancelleria nel termine previsto fino alla celebrazione dell’udienza (comma 6) con diritto perlomeno al difensore tecnico di prenderne visione ed estrarne copia ai sensi dell’art. 324 c.p.p. e del chiarissimo principio in tema di diritto di difesa espresso dalla sentenza della Consulta n. 192/1997 in ordine alla funzione del deposito degli atti in cancelleria (v. § 3 del Considerato in diritto). In caso di riesame di sequestro preventivo il PM dovrà trasmettere tutti gli atti sottoposti al GIP ex art. 321, comma 1 c.p.p. mentre in caso di sequestro probatorio sarà libero di trasmettere gli atti da lui reputati sufficienti a fare confermare il provvedimento dal Tribunale del Riesame.

Filippo Poggi

 


 

SENTENZA N. 192

ANNO 1997

 REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

– Dott. Renato GRANATA, Presidente

– Prof. Giuliano VASSALLI

– Prof. Francesco GUIZZI

– Prof. Cesare MIRABELLI

– Prof. Fernando SANTOSUOSSO

– Avv. Massimo VARI

– Dott. Cesare RUPERTO

– Dott. Riccardo CHIEPPA

– Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

– Prof. Valerio ONIDA

– Prof. Guido NEPPI MODONA

– Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 293, comma 3, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 16 marzo 1996 dal Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Lucera, nel procedimento penale a carico di Fratello Nicola, iscritta al n. 411 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell’anno 1996.

Udito nella camera di consiglio del 9 aprile 1997 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto in fatto

  1. A seguito di richiesta del pubblico ministero, il Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Lucera disponeva nei confronti dell’indagato la misura cautelare degli arresti domiciliari.

Eseguita la misura, e fissato l’interrogatorio ai sensi dell’articolo 294 del codice di procedura penale, il difensore dell’indagato chiedeva di essere autorizzato ad esaminare gli atti e ad estrarne copia. La cancelleria del giudice trasmetteva la richiesta al pubblico ministero, al quale restituiva il fascicolo processuale – già inviato in originale a corredo della richiesta di misura cautelare -, con l’invito ad indicare gli atti che la difesa poteva esaminare e dei quali poteva estrarre copia.

Il pubblico ministero replicava di non <<dovere indicare alcun atto, nè tanto meno di mostrarlo al difensore per copie o per altro>>, aggiungendo che a suo avviso l’indagato <<nella fase precedente all’interrogatorio … non può prendere cognizione delle accuse se non in sede di contestazione dei gravi indizi … essendo ovvio il pericolo di precostituirsi difese di comodo…>>. Sulla base di quanto sopra, prima che avesse corso l’interrogatorio, il difensore eccepiva che era stato leso il diritto di difesa del proprio assistito, non avendo potuto prendere visione ed estrarre copia degli atti d’indagine trasmessi con la richiesta del pubblico ministero. L’interrogatorio veniva rinviato, ma alla data di rinvio il giudice, persistendo il rifiuto del pubblico ministero a che il difensore dell’indagato prendesse visione ed estraesse copia degli atti sulla base dei quali era stata disposta la misura cautelare, pronunciava ordinanza con la quale sollevava questione di legittimità costituzionale dell’articolo 293, comma 3, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede il diritto del difensore ad ottenere copia degli atti a lui depositati, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione. Quindi ordinava la liberazione dell’indagato ex articolo 302 del codice di procedura penale.

  1. Osserva il Giudice a quoche prima della legge 8 agosto 1995, n. 332, l’articolo 309 cod. proc. pen., nel disciplinare il deposito ai difensori degli atti in sede di riesame, non prevedeva la facoltà di estrarre copia degli atti depositati. Al riguardo, la Corte di cassazione a sezioni unite aveva ritenuto – con sentenza del 3 febbraio 1995, ricorrente Sciancalepre – che, in mancanza di esplicita previsione, non sussisteva “un diritto della parte ad ottenere de planocopia degli atti d’indagine”, e che i diritti della difesa erano adeguatamente tutelati dalla possibilità di esaminare gli atti depositati e di estrarne copia informale; mentre il riconoscimento di un diritto in senso tecnico era da escludere dalla lettera della legge (ubi lex voluit dixit) e dallo stesso interesse dell’indagato ad una rapida decisione.

La legge n. 332 del 1995 aveva modificato il comma 8 dell’articolo 309, introducendo l’esplicita previsione della facoltà per il difensore di esaminare e di estrarre copia degli atti a lui depositati. La stessa legge aveva inoltre introdotto all’articolo 293, comma 3, cod. proc. pen. la previsione del deposito nella cancelleria del giudice, assieme all’ordinanza applicativa della misura cautelare (il cui deposito era già previsto dal testo previgente, dopo l’esecuzione o notificazione), della richiesta del pubblico ministero e degli atti da questi trasmessi a corredo della stessa.

In tale situazione, secondo il Giudice a quo, si sarebbe dovuto applicare all’articolo 293, comma 3, cod. proc. pen., il criterio interpretativo già enunciato dalle sezioni unite della Corte di cassazione con la predetta sentenza, relativa all’articolo 309 cod. proc. pen. nella formulazione previgente (esclusione del diritto del difensore di ottenere copia degli atti in assenza di esplicita previsione). Criterio che poteva ritenersi rafforzato dal rilievo che nello stesso contesto normativo delle modifiche introdotte dalla legge n. 332 del 1995 era stato espressamente previsto il diritto della difesa di ottenere copia degli atti d’indagine depositati nella fase del riesame (articolo 309), mentre era stato omesso qualsiasi richiamo alla facoltà del difensore di estrarre copia degli atti al momento del loro deposito assieme all’ordinanza con la quale era stata disposta la misura cautelare, subito dopo la sua esecuzione (articolo 293).

Il rimettente ritiene però che il difensore dell’indagato a buon diritto si duole di non aver potuto estrarre copia della documentazione su cui il pubblico ministero aveva fondato la sua richiesta, facendo riferimento a quanto osservato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 219 del 1994, e cioé al fatto che <quando l’indagato sia già assoggettato ad una misura cautelare …. non sussistono valide ragioni per escludere l’esercizio del diritto di difesa>.

Secondo il giudice a quo il legislatore, nel promulgare la legge dell’agosto 1995, ha verosimilmente “operato un vistoso lapsus legislativo omettendo la previsione, nell’articolo 293, comma 3, codice di procedura penale, del diritto del difensore di poter estrarre copia degli atti depositati ….“, in “stridente contrasto” con quanto invece appositamente previsto nell’articolo 309, comma 8, che tutela “situazioni ontologicamente uguali”; non avendo “alcuna rilevanza la fase precedente o successiva all’interrogatorio perchè … il difensore, con una immediata impugnativa al tribunale per il riesame ex articolo 309 codice di procedura penale, ha il diritto di prendere visione ed estrarre copia” degli atti d’indagine. Con il solo risultato che viene così a mettersi _in moto un’attività giurisdizionale_ complessa, quella del ricorso al tribunale per la libertà, spesso al solo fine di avere compiuta e completa conoscenza delle fonti d’accusa .

L’articolo 293, comma 3, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che al deposito degli atti trasmessi con la richiesta di misura cautelare consegua il diritto per il difensore di estrarne copia, contrasterebbe dunque, secondo il rimettente, con l’articolo 24 Cost., in quanto le ragioni di segretezza o di riservatezza degli atti d’indagine o quelle di speditezza sono tutte certamente subvalenti rispetto al diritto dell’indagato, colpito da misura cautelare personale, di esercitare il diritto di difendersi, e di essere difeso, con la più ampia consapevolezza dei risultati delle indagini e delle accuse a suo carico. E contrasterebbe anche con l’articolo 3 Cost., in quanto é privo di ragionevolezza limitare il diritto del difensore al solo esame nella cancelleria del giudice degli atti depositati dopo l’emissione della misura cautelare, mentre, proponendo richiesta di riesame immediatamente dopo l’esecuzione della misura (e dunque anche prima dell’interrogatorio), il difensore acquista il diritto di estrarre copia dei medesimi atti.

Considerato in diritto

1.- La questione sottoposta all’esame della Corte ha per oggetto l’art. 293, comma 3, del codice di procedura penale, così come novellato dalla legge 8 agosto 1995, n. 332, nella parte in cui non prevede che al deposito nella cancelleria del giudice dell’ordinanza che ha disposto la misura della custodia cautelare, ovvero misura diversa dalla custodia cautelare, unitamente alla richiesta del pubblico ministero e agli atti presentati con la stessa, consegua il diritto del difensore di estrarre copia degli atti depositati.

Ad avviso del Giudice rimettente, tale disciplina contrasterebbe con l’art. 24 della Costituzione, in quanto il diritto di difesa verrebbe irragionevolmente ostacolato in un contesto in cui non sussistono esigenze di riservatezza tali da giustificarne il sacrificio, nonchè con l’art. 3 della Costituzione, in quanto la disciplina censurata creerebbe una ingiustificata disparità di trattamento rispetto alla situazione ontologicamente eguale disciplinata dall’art. 309, comma 8, cod. proc. pen., anch’esso modificato dalla legge n. 332 del 1995, ove é espressamente previsto che al deposito degli atti in cancelleria prima dell’udienza di riesame si accompagna la facoltà per il difensore di esaminarli e di estrarne copia.

2.- Prima di affrontare le censure di legittimità costituzionale prospettate dal giudice rimettente, é opportuno esaminare la disciplina che, prima delle modifiche introdotte dalla legge n. 332 del 1995, gli articoli 293, comma 3, e 309, comma 8, cod. proc. pen. riservavano al deposito degli atti in cancelleria, rispettivamente dopo l’esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare e prima dell’udienza di riesame, nonchè le posizioni assunte al riguardo dalla giurisprudenza di legittimità.

Il testo originario dell’art. 293, comma 3, cod. proc. pen. stabiliva che, dopo l’esecuzione o notificazione, veniva depositato in cancelleria solo il testo dell’ordinanza che aveva disposto la custodia cautelare o altra misura diversa dalla custodia cautelare. A sua volta, nella formulazione originaria l’art. 309, comma 8, cod. proc. pen. stabiliva che, in caso di richiesta di riesame, gli atti presentati dal pubblico ministero a norma dell’art. 291, comma 1, cod. proc. pen. (cioé la richiesta di misura cautelare e gli elementi su cui la richiesta stessa si fondava) restavano depositati in cancelleria fino al giorno dell’udienza.

Tale disciplina aveva comportato l’effetto, ripetutamente denunciato dalla dottrina e dagli operatori giudiziari, di indurre la persona sottoposta a custodia cautelare a presentare talvolta richiesta di riesame al solo scopo di venire a conoscenza, per ovvie esigenze di difesa, anche della richiesta del pubblico ministero e degli elementi con la stessa presentati, dei quali l’art. 309, comma 8, cod. proc. pen. prevedeva appunto il deposito in cancelleria prima dell’udienza di riesame.

Dal canto suo, l’art. 309, comma 8, cod. proc. pen. aveva sollevato contrastanti interpretazioni giurisprudenziali. Alcune sentenze, sia di legittimità che di merito, avevano affermato che il deposito degli atti in cancelleria comportava automaticamente la facoltà del difensore di estrarne copia, in quanto il deposito é finalizzato alle esigenze della difesa di completa conoscenza e utilizzazione degli atti depositati; esigenze che trovano appunto attuazione mediante il diritto di estrarre copia. Più numerose erano però state le sentenze della Corte di cassazione che avevano aderito ad una interpretazione letterale-sistematica dell’art. 309, comma 8, cod. proc. pen., poi confermata dalle Sezioni unite (sentenza 3 febbraio 1995).

Alla stregua di tale interpretazione, il deposito degli atti e il diritto di estrarne copia operano su piani diversi, nel senso che l’esercizio del secondo non é necessaria conseguenza del primo. L’assunto riposa su considerazioni sistematiche tratte dal combinato disposto degli articoli 116 cod. proc. pen. e 43 disp. att., da cui si ricaverebbe la regola generale che il rilascio di copie a chiunque vi abbia interesse é subordinato all’autorizzazione del pubblico ministero o del giudice che procede, salvi i casi in cui la legge espressamente riconosce al richiedente il diritto al rilascio delle copie (ad esempio, articoli 366, comma 1, 430, comma 2, 433, comma 2, 450, comma 6, 466 cod. proc. pen.).

La legge n. 332 del 1995, inserendo nel comma 8 dell’art. 309 cod. proc. pen. l’espressa facoltà del difensore di esaminare e di estrarre copia degli atti depositati in cancelleria, ha quindi risolto legislativamente il contrasto giurisprudenziale su cui erano intervenute le Sezioni unite della Cassazione.

Analoghi problemi interpretativi sono rimasti peraltro aperti con riferimento alla norma oggetto della presente questione di legittimità costituzionale: la legge n. 332 del 1995 ha infatti modificato anche l’art. 293, comma 3, cod. proc. pen., stabilendo che insieme all’ordinanza che ha disposto la misura cautelare vengano depositati in cancelleria la richiesta del pubblico ministero e gli atti presentati con la stessa, ma non ha menzionato espressamente la facoltà del difensore di estrarne copia. Si sono così riproposti nei confronti dell’art. 293, comma 3, cod. proc. pen. i medesimi problemi interpretativi che si ponevano nei confronti dell’art. 309, comma 8, cod. proc. pen. prima della modifica introdotta con la legge n. 332 del 1995.

3.- Alla luce delle vicende legislative e giurisprudenziali degli articoli 293, comma 3, e 309, comma 8, cod. proc. pen., la questione di legittimità costituzionale oggetto del presente giudizio é fondata in riferimento all’articolo 24 della Costituzione.

Se si riflette sulla ratio dell’istituto, il deposito degli atti in cancelleria a disposizione delle parti deve, di regola, comportare necessariamente, insieme al diritto di prenderne visione, la facoltà di estrarne copia. Al contenuto minimo del diritto di difesa, ravvisabile nella conoscenza degli atti depositati mediante la loro visione, deve cioé accompagnarsi automaticamente, salvo che la legge disponga diversamente, la facoltà di estrarne copia, al fine di agevolare le ovvie esigenze del difensore di disporre direttamente e materialmente degli atti per preparare la difesa e utilizzarli nella redazione di richieste, memorie, motivi di impugnazione.

Nel disciplinare la materia, il legislatore ha peraltro ritenuto di dovere indicare espressamente una serie di casi in cui al deposito degli atti si accompagna la facoltà di estrarne copia (cfr. ad esempio, oltre al già menzionato art. 309, comma 8, cod. proc. pen., gli articoli 310, comma 2, 366, comma 1, 419, comma 2, in relazione all’art. 131 disp. att., 430, comma 2, 433, comma 2, 450, comma 6, 457, comma 2, 455, comma 1, lettera g), cod. proc. pen., nonchè gli articoli 93, 139, 140, 161 disp. att.), mentre in altre e meno numerose situazioni, tra cui quella oggetto della presente questione di legittimità costituzionale, viene invece previsto solo il deposito degli atti, con o senza avviso al difensore (v., ad esempio, gli articoli 296, comma 2, 324, comma 6, 408, comma 3, cod. proc. pen.).

La sopra menzionata sentenza delle Sezioni unite della Cassazione si é appunto richiamata al combinato disposto degli articoli 116 cod. proc. pen. e 43 disp. att. per affermare il principio che, in tutti i casi in cui il diritto di estrarre copia non é espressamente riconosciuto dalla legge, il rilascio delle copie é subordinato, a norma dell’art. 116, comma 2, cod. proc. pen., all’autorizzazione dell’autorità giudiziaria che procede, cui spetta valutare se sussistono esigenze processuali tali da prevalere sulla piena esplicazione del diritto di difesa.

Esula peraltro dai confini della specifica questione di legittimità costituzionale dedotta nel presente giudizio prendere in esame la congruità della disciplina apprestata dal legislatore in tutti i casi in cui al deposito degli atti non si accompagna la facoltà del difensore di estrarne copia. La Corte deve limitarsi alla specifica questione di legittimità costituzionale posta nei confronti dell’art. 293, comma 3, cod. proc. pen.: al riguardo, non vi é dubbio che il diritto di difesa risulta ingiustificatamente ostacolato e compresso dal mancato riconoscimento della facoltà del difensore di estrarre copia degli atti depositati insieme all’ordinanza che ha disposto la misura cautelare.

La ratio della modifica introdotta dalla legge n. 332 del 1995 é, infatti, di consentire al difensore pieno accesso agli atti depositati dal pubblico ministero, sul presupposto che, dopo l’esecuzione della misura cautelare, non sussistono ragioni di riservatezza tali da giustificare limitazioni al diritto di difesa; al contrario, dopo l’esecuzione della misura cautelare deve essere consentito il pieno esercizio del diritto di difesa (cfr. in tale senso la sentenza n. 219 del 1994), assicurando al difensore la più ampia e agevole conoscenza degli elementi su cui si é fondata la richiesta del pubblico ministero, al fine di rendere attuabile una adeguata e informata assistenza all’interrogatorio della persona sottoposta alla misura cautelare ex art. 294 cod. proc. pen., nonchè di valutare con piena cognizione di causa quali siano gli strumenti più idonei per tutelare la libertà personale del proprio assistito, dalla richiesta di riesame ovvero di revoca o sostituzione della misura alla proposizione dell’appello.

Se questi sono gli obiettivi perseguiti dal legislatore del 1995 mediante la modifica del testo originario dell’art. 293, comma 3, cod. proc. pen., la mera conoscenza degli atti depositati dal pubblico ministero, non accompagnata dal diritto di estrarne copia, rappresenta una ingiustificata limitazione del diritto di difesa, che nel caso di specie si pone in irrimediabile contrasto con l’art. 24 Cost. La disciplina limitativa non trova infatti ragione nè nell’esigenza di riservatezza, ormai superata dall’esecuzione della misura cautelare, nè nel timore che le operazioni di rilascio delle copie possano interferire con i termini rapidi e vincolanti previsti per l’interrogatorio e, poi, per la presentazione dell’istanza di riesame e per la relativa decisione, essendo evidente che nè il difensore potrà pretendere, nè l’autorità giudiziaria potrà concedere dilazioni di tali termini ove risulti materialmente impossibile procedere alla copia di tutti gli atti richiesti entro le rigide cadenze previste per l’interrogatorio e per l’udienza di riesame.

Rimane così assorbita la censura di legittimità sollevata con riferimento alla violazione dell’art. 3 Cost.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 293, comma 3, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede la facoltà per il difensore di estrarre copia, insieme all’ordinanza che ha disposto la misura cautelare, della richiesta del pubblico ministero e degli atti presentati con la stessa.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 giugno 1997.

Renato GRANATA: Presidente

Guido NEPPI MODONA: Redattore

Depositata in cancelleria il 24 giugno 1997.

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