Con sentenza recente la Corte EDU, Sez. I, del 25.9.2018 – Provenzano / Italia ric. n. 3508/13 ha condannato l’Italia per violazione dell’art. 3 che stabilisce che “nessuno può essere sottoposto a torture né a pene o trattamenti inumani o degradanti”. Brevemente, nell’esercizio della propria potestà punitiva, lo Stato ha l’obbligo di assicurare che ogni prigioniero sia detenuto in condizioni compatibili con il rispetto della dignità umana, che le modalità di esecuzione non aggiungano ulteriore afflizione alla pena detentiva e soprattutto, tenuto conto delle esigenze della detenzione, vigilare che la salute ed il benessere dei detenuti siano assicurati dignitosamente. Più chiaramente, se la pena consiste nella privazione della libertà dell’individuo, non c’è ragione di aggiungere ulteriori limitazioni, aggiungendo afflizione ad altra afflizione.
Con la sentenza sopra richiamata, la Corte ha condannato l’Italia per violazione dell’art. 3 CEDU, con riferimento al provvedimento di proroga del regime di cui all’art. 41-bis ord. penit. nei confronti di Berardo Provenzano il 23.3.2016, qualche mese prima della sua morte, avvenuta il 13.7.2016. La Corte ha accolto solo parzialmente il ricorso presentato dal figlio del Provenzano, facendo riferimento alla insufficiente valutazione, nel provvedimento di proroga, del deterioramento delle funzioni cognitive del detenuto non rinvenendo alcuna violazione né nell’applicazione dell’art. 41 bis né rispetto alla precedente proroga del regime differenziato – pur avvenuta in presenza di un deterioramento delle condizioni cognitive – in quel caso, però, presa adeguatamente.
In effetti, il ricorrente aveva proposto reclamo ai sensi art. 41 bis c. n. quinquies ord. penit. contro due decreti di proroga del regime differenziato, uno nel marzo 2014 e il successivo nel marzo 2016 motivati dalla circostanza che, per il grave deterioramento del suo stato di salute, era venuta meno la possibilità – posta a base dell’applicazione del regime speciale – che Provenzano – se collocato in regime detentivo ordinario – mantenesse i collegamenti con l’associazione.
Reclami entrambi rigettati dal Giudice nazionale per cui, esauriti i rimedi interni, il ricorrente, a mezzo del figlio, nominato suo amministratore di sostegno, si rivolgeva alla Corte EDU sostenendo la violazione dell’art. 3 della Cedu sotto due profili sia ritenendo incompatibile il regime speciale con le condizioni di salute del padre e l’inadeguatezza delle cure ricevute e dall’altra quello concernente la perdurante sottoposizione al regime di cui all’art. 41 bis. ord. penit. ritenuta non più giustificata, in ragione del significativo deterioramento delle sue funzioni cognitive. Per accertare la violazione dell’art. 3 CEDU, la Corte riteneva che “sottoporre un individuo a una serie di restrizioni aggiuntive, imposte discrezionalmente, senza fornire sufficienti e rilevanti ragioni basate su una valutazione individualizzata di necessità, minerebbe la sua dignità umana e integrerebbe una violazione del diritto dell’art. 3 CEDU”.
Nel caso esaminato, però la Corte esclude che vi sia stata violazione sia per l’applicazione al Provenzano del regime speciale, ritenendolo compatibile con il suo stato di salute per quanto riguarda la proroga del 26.3.2014 emessa dal Tribunale di Sorveglianza che l’aveva concessa dopo un ampio esame della documentazione medica, non potendosi escludere all’epoca una possibilità per il ricorrente, in caso di regime ordinario, di poter comunicare con l’esterno.
Rispetto alla proroga del 23.3.2016, la Corte EDU perviene ad una conclusione opposta in quanto il provvedimento ministeriale non prevede adeguamenti in considerazione dell’ulteriore peggioramento delle condizioni cognitive del ricorrente, riconoscendo dunque per questo aspetto potersi parlare di violazione dell’art. 3 che viene individuato “nel non aver dimostrato, nel provvedimento ministeriale, che il ricorrente, nonostante lo stato di deterioramento psichico, sarebbe stato in grado di comunicare con l’associazione, qualora fosse stato collocato in regime ordinario”. In base alla considerazione della Corte EDU, dunque, emerge con chiarezza che dì per sé il regime di cui all’art. 41 bis è legittimo ed è compatibile, anche se di lunga durata, nei limiti in cui sia giustificato da finalità di prevenzione.
Riafferma però la sentenza la necessità di una valutazione attuale e in concreto della pericolosità del detenuto, come, peraltro riconosciuto da una recente pronuncia della Cassazione nel caso Riina (Cass. pen. sez. I. 23.3.2017 n. 27766) con la quale veniva annullato il provvedimento di rigetto emesso dal Tribunale di Sorveglianza di Bologna per carenza di motivazione sotto il profilo di attualizzazione della valutazione sulla pericolosità del soggetto, in quanto esso non chiariva come tale pericolosità potesse considerarsi attuale, alla luce della sopravvenuta precarietà delle condizioni di salute e del generale decadimento fisico del detenuto.
Contro la sentenza risorge insorge a modo suo il ministro dell’Interno Salvini “Baraccone europeo, per l’Italia decidono gli italiani e non altri”. Uscita infelice anche questa volta del Salvini che confonde la Corte EDU come espressione dell’UE mentre si tratta, come dovrebbe essere noto ad un ministro di Stato, che esso è emanazione del Consiglio di Europa, fondato nel maggio del 1949 con il Trattato di Londra, cui aderiscono oggi 47 Stati, compresi gli Stati che fanno parte dell’UE ma sottoscritto anche da altri Stati europei come la Russia o l’Ungheria.
Anche Di Maio, per non essere da meno rispetto al suo emulo, insorge: “Ma scherziamo? Non sanno di cosa parlano”. Bontà sua, crediamo che sia proprio il sig. Di Maio a non saper come stanno le cose. “L’argomento è tropo delicato per liquidarlo con frasi fatte” scrive – sulle colonne del quotidiano La Repubblica del 26.10 – Attilio Balzani il quale precisa che la questione posta a Strasburgo non è sulla validità dell’art. 41 bis ma se quel regime speciale potesse ritenersi applicabile al Provenzano nei suoi ultimi mesi di vita. “Uno Stato autorevole – si interroga il giornalista – ha davvero bisogno di seppellire i suoi nemici anche se sono incapaci di intendere e volere?. Franco La Torre – figlio di Pio- segretario regionale del Partito comunista ucciso a Palermo nel 1982 – e Dario Montana (fratello di Beppe, il poliziotto assassinato anche lui a Palermo nel 1985), si erano dichiarati favorevoli per marcare “la differenza fra noi che crediamo nello Stato e loro che sono mafiosi””. E’ d’accordo su questa posizione anche Giuseppe Ciminnisi – coordinatore nazionale dei familiari delle vittime di mafia dell’associazione “I cittadini contro le mafie e la corruzione”, il quale ammette che “l’applicazione di misure così dure nei confronti di un uomo – seppure un criminale – che a causa di un tumore e dell’Alzheimer era ridotto ad uno stato quasi vegetale e non più in grado di nuocere, rischia di apparire come una vendetta istituzionalizzata da parte di uno Stato che per decenni non ha saputo, o grazie alle collisioni di parte delle istituzioni, non ha voluto impedire e punire le ingiustizie”. “La forza di uno Stato, si misura nella giustizia, non nella vendetta ….alla quale io ho rinunciato confidando nello Stato…altrimenti, ricorrendo alle stesse barbarie, non potremmo dichiararci diversi da loro”. Parole queste che dovrebbero metter fine ad ogni speculazione di questo Governo, aggiungendo che a non aver letto la sentenza della Corte sia stato lo stesso, ahimè! ministro della Giustizia, che ha dichiarato che il regime dell’art. 41 bis non si tocca. Anche l’Unione delle Camere Penali Italiane, interviene sulla pronuncia della Cedu, scrivendo in un proprio documento che “le reazioni dell’attuale maggioranza al provvedimento della Cedu dimostrano ancora una volta che, in tema di giustizia, il Governo cerca il facile e immediato consenso popolare, senza alcuna analisi interpretativa e di sistema…rappresentando, dunque, l’associazione il totale dissenso e la forte preoccupazione per le dichiarazioni dei due vice premier Di Maio e Salvini”. “Uno Stato democratico – si legge nel comunicato – dà prova della sua forza proprio quando dimostra di saper rispettare i diritti anche del più feroce dei suoi nemici”, esprimendo sdegno e sbigottimento a fronte di tali scomposte reazioni nei riguardi di un provvedimento di un Organo Istituzionale Internazionale che condanna giustamente l’Italia per aver inflitto torture ad un uomo privo della capacità di pensare e muoversi”.
Come giustamente scrive Matteo Maria Orlando in un suo commento pubblicato sul sito “https://midnightmagazine.org” “appare ingiustificabile l’ulteriore e straordinaria compressione delle garanzie individuali discendenti dal 41-bis, che dovrebbe trovare applicazione solo in costanza di pericolosità sociale…..Dovrebbe essere istanza collettiva, nonché urgenza trasversale a tutte le forze politiche, la pretesa di una legge decisa ma non cinica, giusta e non crudele, autorevole ma non tirannica”.
Novembre 2018
(Avv. E. Oropallo)